CONCLUSO – Progetto Alfa: nato per proteggere le donne vittime di tratta

lI Progetto Alfa è nato in Piemonte grazie al Fondo europeo HOME/2018/AMIF/AG/EMAS/0081 CUP F61H18000100006 ALFA-Accogliere le fragilità per dare alcuni servizi fondamentali alle donne presumibili vittime della tratta richiedenti asilo.. Liberazione e speranza è l’unica associazione a Novara che fa parte del progetto e Arianna, la nostra assistente sociale, è la Responsabile della struttura di accoglienza della sede di Novara.
Le abbiamo chiesto di raccontarci il progetto e di cosa si occupa.

Arianna quali sono gli obiettivi del progetto Alfa?

Il progetto Alfa è iniziato a aprile 2019 dal desiderio di creare, in tutte le province del Piemonte, una rete di strutture adatte ad accogliere donne e bambini potenziali vittime di sfruttamento. L’idea è di offrire non solo un tetto, ma anche un sostegno per inserirsi nella nostra società. Nella nostra struttura proponiamo: corsi di italiano (per le donne che non possono andare a scuola), di cucina e di cucito, supporto psicologico con una psicologa, un laboratorio di educazione sessuale e l’accompagnamento pre e post-parto con un’ostetrica per le donne con figli o incinte (al momento sono 5 nella struttura di Novara).

Come arrivano le donne nella vostra struttura?

Le donne vengono segnalate principalmente dal comitato di valutazione istituito da Prefettura Torino, Ires Piemonte e Regione Piemonte. Gli invii possono pero’ anche partire da ASL, AO, enti gestori, da enti del terzo settore, Numero verde antitratta. Nel progetto possono essere accolte anche donne vittime di violenza di genere richiedenti asilo. Anche le donne stesse possono chiedere aiuto e sostegno chiamando il numero di cellulare sempre reperibile, attivo
h 24. La metodologia adottata dal progetto è sperimentale e all’avanguardia. Il rigore metodologico del progetto ci aiuta a definire meglio il percorso delle donne in accoglienza ma anche i criteri di ingresso nello stesso..
Ci sono due tipologie di accoglienza: un primo percorso chiamato ‘Bassa Soglia’ che dura un mese. In questo periodo di tempo ci occupiamo di osservare le ragazze e capire se sono adatte al progetto. In caso positivo entrano a tutti gli effetti nel percorso residenziale che dura 6 mesi.
Attualmente nei nostri alloggi sono ospitate 19 ragazze (compresi 3 bambini) ma abbiamo a disposizione 27 posti letto.

Ci racconti meglio come funziona una casa di accoglienza?

La casa si ispira alla logica del co-housing ma il personale è presente tutti i giorni della settimana per tutto l’arco temporale della giornata.
Le stanze sono solitamente condivise e cerchiamo di dare alle mamme con i figli una dimensione di privacy. Le aiutiamo a coordinarsi per i turni di pulizia e di cucina.
Personalmente mi occupo del gruppo di lavoro e coaudivata dalla coordinatrice del progetto mi occupo della realizzionazione del rigore metodoogico individuato dal progetto.
Ogni attività viene indicata su un apposito modello, vi sono griglie di osservazione e registri presenza, nonché un registro delle attività svolte. Insieme alle altre operatrici organizziamo laboratori e seguiamo orientando le donne a visite, disbrigo pratiche e documenti.
Vi è anche una attività relativa all’orientamento sul territorio e all’utilizzo corretto delle istituzioni pubbliche e private.
Condividiamo con loro un alloggio sicuro ma anche le basi per costruire nuove forme di vita partecipata nella comunità ospitante.

Ti piace questo lavoro?

Quando mi sono laureata, a fine marzo 2019, non credevo di poter lavorare nell’ambito dell’immigrazione. La figura dell’assistente sociale  non è molto richiesta dalle associazioni di settore. Poi però si è presentata l’opportunità del Servizio civile in Liberazione e speranza e ho voluto tentare. Dopo un primo colloquio ho iniziato a lavorare e fin da subito mi è piaciuto moltissimo.
Sono molto curiosa e mi piace entrare a contatto con realtà e culture diverse dalla mia. Ad esempio adoro pranzare insieme alle ragazze ogni giorno e assaggiare anche nuovi piatti.
A settembre ho superato gli esami e mi sono iscritta all’albo nazionale, così Elia Impaloni, la presidente di Liberazione e speranza, mi ha proposto di iniziare a lavorare a tempo pieno in associazione. Non mi sembrava vero: ero felicissima.
Certo è un lavoro molto faticoso, a pieno regime, ma poter aiutare altre donne, giovani come me, ma meno fortunate, mi ricarica ogni giorno.